Francia 1960

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© foto di Alberto Lingria/PhotoViews
giovedì 10 maggio 2012, 16:30Storia degli europei
di Oreste Giannetta

Una gestazione da far invidia agli elefanti, che dal concepimento alla nascita passano quasi due anni nel ventre materno. Dopo il concepimento, invece, il Campionato Europeo per Nazioni resta nel ventre per oltre 30 anni. L’idea di un torneo continentale che ricalchi quello sudamericano risale infatti al 1927. In quell’anno, il dirigente FIFA Henri Delauney, segretario generale della Federazione calcistica francese, propone la creazione, in concomitanza con quella della Coppa del Mondo, di un torneo riservato alle sole nazionali del Vecchio Continente.
Poiché, secondo logica, si va dal piccolo al grande, sembrerebbe un’idea molto più semplice da attuare. Invece, mentre il torneo iridato muove i primi passi, aumentando costantemente di importanza soprattutto nel dopoguerra, in Europa si continua a non trovare l’accordo. E se si considerano le divisioni tra Paesi (che porteranno al conflitto mondiale) si può capire quanto non fosse semplice mettere tutti allo stesso tavolo.
Gli anni Cinquanta dunque. Il decennio che fa da spartiacque tra una conduzione ancora dilettantistica del calcio europeo e la crescita di un movimento che in poco tempo diventerà leader a livello mondiale, tecnicamente e, soprattutto, economicamente. A metà del decennio nasce la Coppa dei Campioni, che dà l’ultimo impulso. “Com’è possibile che ci si giochi il titolo europeo tra club e non tra nazionali?”, ci si domanda. Nel 1958 ecco la risposta, purtroppo tre anni dopo la morte dello stesso Delauney, che pur essendo diventato il primo presidente della neonata UEFA non farà in tempo a veder nascere la sua creatura. Nel settembre di quello stesso anno si può finalmente partire con le prime gare di qualificazione per quella che viene doverosamente chiamata Coppa Delauney.
Il Campionato Europeo è nato, ma non mancano certo le difficoltà, visto che all’appello non rispondono le due nazionali in grado, fino a quel momento, di vincere un mondiale. Italia e Germania Ovest  brillano infatti per la loro assenza, pur con motivazioni diverse. Il nostro calcio ha raggiunto il livello più basso di sempre, non riuscendo a qualificare la nazionale azzurra per i mondiali svedesi. La scelta della FIGC di non presentarsi ai blocchi di partenza, dunque, può essere vista come il tentativo di evitare una nuova figuraccia. Diverso il discorso per Inghilterra e Scozia, che ancora preferiscono confrontarsi nel loro Home Championship, nonostante le recenti edizioni dei mondiali abbiano dimostrato che la loro supposta superiorità è solo supposta, appunto. Tolta anche la Svezia fresca finalista mondiale, ma anch’essa autoesclusasi, il parterre si riduce dunque alle nazionali dell’Est e alle rappresentanti del calcio iberico, con in più la Francia, designata come organizzatrice della fase finale, in onore al padre del torneo, dopo aver dominato le qualificazioni.
Ma andiamo con ordine. La prima partita della nuova competizione si gioca il 28 settembre del 1958 a Mosca, davanti a oltre centomila spettatori. Un successone, che però non sarà ripetuto molto spesso, visto che il torneo riscuoterà poco interesse da parte del pubblico. I sovietici eliminano l’Ungheria, lontana parente dello squadrone di qualche anno prima, vincendo entrambe le partite. La curiosità è che la gara di ritorno si giochi il 27 settembre, ma dell’anno dopo. Organizzazione farraginosa, dunque, che agli ottavi vede brillare le favorite.

Oltre all’Unione Sovietica avanzano la Jugoslavia, la Cecoslovacchia e la più modesta Romania in rappresentanza del blocco socialista. C’è l’Austria, anche se non più nazione guida come negli anni Trenta, e ci sono le due nazioni iberiche, che a livello di club dominano il periodo. La Spagna di Gento, Di Stéfano e Suárez, e il Portogallo di Coluna, che col suo Benfica si appresta a porre fine all’egemonia del Real Madrid in Coppa dei Campioni. E per finire c’è appunto la Francia di Fontaine, Kopa e Piantoni, sorpresa del mondiale del 1958, concluso al terzo posto, e decisa a recitare un ruolo da protagonista.
I nove gol rifilati all’Austria nei quarti confermano le ambizioni dei galletti, che restano però gli unici a contrapporsi allo strapotere dell’Est. La Cecoslovacchia passeggia infatti sulla Romania, mentre la Jugoslavia, dopo aver sofferto a Lisbona e nel primo tempo di Belgrado, travolge il Portogallo con quarantacinque minuti giocati alla perfezione. La quarta eletta dovrebbe uscire dalla sfida più attesa, quella tra Spagna e Urss. Nonostante la federazione spagnola provi in tutti i modi a convincerlo, però, il generale Franco è categorico. Alle Furie Rosse viene impedito di recarsi a Mosca per giocare contro i porta bandiera dell’odiata ideologia comunista. A Jascin e compagni, dunque, non resta che ringraziare e imbarcarsi per la Francia.
Le due semifinali si giocano quasi in contemporanea, il 6 luglio. A Marsiglia, in uno stadio semivuoto, i sovietici dispongono della Cecoslovacchia, che due anni dopo arriverà fino alla finale mondiale, senza troppi patemi. La doppietta di Valentin Ivanov e il sigillo di Ponedelnik spalancano le porte della finale, dove a sorpresa si presenterà la Jugoslavia. In un Parco dei Principi stracolmo, infatti, la Francia parte coi favori del pronostico, pur priva delle sue tre stelle, e infatti a mezzora dal termine conduce per 4-2. A questo punto, però, succede l’imprevedibile, con gli jugoslavi che nel giro di cinque minuti accorciano le distanze, per poi mettere la freccia con una doppietta di Dražan Jerković, che negli anni Novanta diventerà il primo C.T. della neonata nazionale croata.
La sconfitta dei padroni di casa fa crollare l’interesse dei tifosi, che disertano gli spalti sia nella finale di consolazione, che i galletti perdono per 2-0 contro i cecoslovacchi, sia per l’atto conclusivo, al quale assistono meno di ventimila persone. Il canovaccio della gara è ben delineato, perché alla solidità dei sovietici, che blindano la loro difesa con Jascin e puntano sfiancare gli avversari, risponde l’alto tasso tecnico della Jugoslavia, squadra che come nessun altro in Europa fa del palleggio la sua arma. Il primo tempo è un assolo degli slavi, che impegnano più volte Jascin, colpendo a fine primo tempo con la complicità dello stesso Ragno Nero. Nella ripresa, però, grazie alla pioggia che appesantisce il campo, esce fuori la maggior preparazione atletica dei sovietici, che pareggiano con Metreveli, bravo a ribadire in rete una corta respinta del portiere. Si va ai supplementari e a metà del secondo è Ponedelnik, con un colpo di testa, a scrivere la parola fine. L’Unione Sovietica si laurea campione d’Europa ed esalta un calcio basato sempre meno sulla sola tecnica. L’Est Europa fa scuola, con la sua preparazione atletica maniacale e il resto del continente capisce che per tenere il passo bisognerà seguirne la strada, anche se ci vorrà ancora un decennio per vederne i frutti.