Svezia 1992

Svezia 1992TUTTOmercatoWEB.com
© foto di Alberto Lingria/PhotoViews
lunedì 28 maggio 2012, 16:30Storia degli europei
di Oreste Giannetta

Nuovo decennio, gli anni Novanta, ma soprattutto nuova Europa. Il crollo del Muro di Berlino, nel 1989, si porta dietro l’Unione Sovietica e tutto il blocco dei Paesi comunisti. Eppure il calcio cammina più lentamente, per una volta, e alle qualificazioni per la nona edizione del Campionato Europeo partecipano ancora tutte le vecchie protagoniste, destinate a frammentarsi e sparire di lì a poco.
A noi, come italiani, interessa soprattutto l’Unione Sovietica, inserita nel gruppo degli azzurri. Reduce dalle lacrime della notte di Napoli e da un terzo posto mondiale mai così pieno di rimpianti, il gruppo di Vicini riprende il cammino svuotato di energie psichiche, perché il grande obiettivo di questa generazione, il mondiale casalingo, è ormai sfumato. I primi due pareggi mettono subito la strada in salita e quando arriva la sconfitta in Norvegia il primo posto sembra ormai sfumare. Vicini è con l’acqua alla gola, visto che Matarrese ha già sancito la sua cacciata in favore di Arrigo Sacchi. Deve vincere a Mosca per scavalcare i rivali e salvarsi in extremis, ma nonostante una formazione rivoluzionata, con Lentini e Rizzitelli a far compagnia in avanti a Vialli, non va oltre il pareggio a reti bianche. Proprio Rizzitelli colpisce un palo nel finale e su quel palo finisce il ciclo azzurro di Vicini, creatore di una squadra che ha saputo divertire e farsi ben volere, ma che non è riuscita a togliersi di dosso il marchio dell’incompiuta. Arriva Sacchi, al quale tocca chiudere il girone con le ultime due inutili partite, perché il biglietto per la Svezia l’hanno già staccato i sovietici.
Di certo quella dell’Italia è l’assenza che fa più rumore, ma resta fuori anche la Spagna, sorpresa dalla Francia divertente del tecnico Michel Platini, che è riuscito a tirar fuori i Bleus dalla crisi nella quale erano caduti dopo il suo addio, anche grazie a due attaccanti di grande livello come Papin e Cantona. Otto vittorie su otto e venti gol segnati sono il loro biglietto da visita. Delle altre big, non sbagliano Germania, Olanda e Inghilterra. I tedeschi, finalmente riunificati, hanno nel Galles l’ultimo avversario ad arrendersi. I campioni in carica olandesi regolano il Portogallo vincendo lo scontro diretto a Rotterdam, mentre gli inglesi, tornati in semifinale ai mondiali dopo oltre 20 anni, faticano a venire a capo dell’Irlanda, qualificandosi solo grazie al pareggio in extremis strappato in Polonia. Altra britannica presente è la Scozia, che vive un buon momento e che mette in fila le più quotate Svizzera, Romania e Bulgaria. Infine la Jugoslavia, vincitrice del suo girone davanti alla Danimarca, grazie al suo bomber Darko Pančev e tra le protagoniste annunciate del torneo, dall’alto di una generazione di giocatori mai vista a queste latitudini. Pochi mesi prima del torneo, però, esplode l’orrore della guerra civile, che fa implodere il Paese balcanico e porta come risultato sportivo alla defezione di molti giocatori dalla nazionale, a maggioranza serba. A dieci giorni dall’inizio del torneo, poi, l’ONU decreta l’embargo nei confronti di Belgrado, costringendo la UEFA a squalificare la nazionale, sostituendola con la Danimarca, costretta a richiamare i propri giocatori dalle loro vacanze. Da un fatto così terribile sta per nascere una delle più incredibili favole nella storia del calcio.
I danesi, che per bocca del loro C.T. corrono “il rischio concreto di tornare a casa con tre pesanti sconfitte”, iniziano invece bloccando in un pareggio senza reti l’Inghilterra, priva del suo faro Gascoigne, mentre la Svezia padrona di casa fa altrettanto con la Francia. Altro pareggio tra le big, con la Svezia che fa il passo decisivo per qualificarsi vincendo il derby scandinavo con la rete di Brolin. Ormai lanciati, gli svedesi battono anche l’opaca Inghilterra, eliminandola e guadagnandosi il primo posto. Alle loro spalle ci si aspetta la Francia, che non perde da venti partite e alla quale basta il pareggio per passare.

Invece i galletti si ritrovano sotto dopo pochi minuti, rimediano con Papin, ma cedono definitivamente, a dodici minuti dal termine, per la rete di Elstrup, oscuro attaccante che diventa eroe per un giorno. Più regolare l’andamento dell’altro girone, con Olanda e Germania che battono entrambe la Scozia, pareggiando con la Comunità degli Stati Indipendenti, federazione formata dalla Russia e dagli stati che si sono appena separati. Sarà protagonista anche alle Olimpiadi di Barcellona ed è l’unico modo per mettere insieme tutti gli atleti ex sovietici. La C.S.I. chiude perdendo a sorpresa con gli scozzesi e permettendo alle due favorite di giocarsi il primo posto senza preoccupazioni. La spunta l’Olanda, che trova nel giovane Bergkamp un nuovo astro in grado di fare la differenza. Il successo è netto, tanto che gli Orange balzano decisi in pole position per la vittoria finale del torneo, mentre la Germania comincia a temere la semifinale, che la vedrà opposta alla brillante Svezia.
Succederà l’opposto di quanto ci si aspetti. I tedeschi partono forte e trovano la rete su punizione del loro uomo migliore, Thomas Hassler, tradito dalla Juventus e adottato dalla Roma. Nella ripresa il laziale Riedle zittisce il Råsunda Stadium con una doppietta, rendendo vane le reti di Brolin, su rigore, e quella in extremis di Kenneth Andersson, che esploderà poi al mondiale successivo, guadagnandosi una lunga esperienza in Italia. Come sempre la Germania, pur se rinnovata, priva del suo leader Matthäus e affidata a un nuovo tecnico, Berti Vogts, riesce a raggiungere il suo obiettivo. Le azioni dei tedeschi subiscono un’impennata al termine dell’altra semifinale. La strafavorita Olanda va all’assalto fin dai primi minuti, venendo sistematicamente colpita in contropiede dai danesi, entrambe le volte con Henrik Larsen, scarto del Pisa, al quale tornerà dopo la fine del torneo. Prima Bergkamp e poi, in extremis, Rijkaard, riescono a rimediare, portando le squadre ai supplementari e da lì ai calci di rigore. L’errore di Van Basten inaugura un ciclo di delusioni dal dischetto che per gli olandesi durerà per tutto il decennio e oltre, regalando all’incredula Danimarca la sua prima, storica, finale in una manifestazione internazionale.
A questo punto, pur coi favori del pronostico che pendono dalla parte della Germania, nessuno si arrischia più a prevederne una facile vittoria. La Danimarca ha raggiunto un traguardo impensabile e sa che la sconfitta sarebbe comunque onorevole, tanto più che sono molti i giocatori acciaccati, che si vanno a sommare al grande assente di questo torneo, Michael Laudrup, rifiutatosi di partecipare per contrasti col tecnico Möller Nielsen. I danesi si chiudono in difesa, affidandosi al loro portierone Schmeichel, che da solo si erge come baluardo insuperabile per i tedeschi, sempre più arrembanti, ma sempre stoppati. Fino all’inevitabile beffa. John Jensen, che poi strapperà un ingaggio all’Arsenal, li punisce in contropiede già al ventesimo. Poi, a dieci minuti dal termine e sempre dopo una rapida ripartenza, è Kim Vilfort, modesto centrocampista con una breve parentesi francese nel suo curriculum, a colpire nuovamente. Ed è un gol che strappa lacrime di commozione, perché proprio Vilfort è stato il protagonista della tragedia nella favola, coi suoi viaggi in patria, tra una partita e l’altra, per stare al capezzale della figlioletta malata di leucemia. Sceneggiatura da Oscar, per un torneo che va in archivio con la più incredibile sorpresa, la vittoria dell’improvvisazione sulla programmazione, di una squadra dal volto umano che ha avuto solo dieci giorni di tempo per riunirsi e iniziare il suo incredibile viaggio.