Spagna 1964
Nonostante a livello di pubblico la prima edizione sia stata un mezzo fallimento, al secondo appuntamento quasi tutte le big del continente decidono finalmente di partecipare. La vittoria dell’Unione Sovietica, evidentemente, spinge le grandi storiche a cercare di riaffermare la loro superiorità. Tutte, tranne la Germania Ovest, che per scelta del suo tecnico Sepp Herberger continua a considerare non degna di attenzione qualsiasi manifestazione che non sia il mondiale.
L’Italia inizia il proprio cammino con un discreto ottimismo. La nazionale è reduce dalla disastrosa esperienza del mondiale cileno, nel quale gli azzurri sono stati presi a cazzotti sia metaforicamente che fisicamente. Il calcio italiano, però, è all’avanguardia in Europa, forte del boom economico che sta portando rapidamente il Paese fuori dalle difficoltà post-belliche. Milan e Inter si apprestano a vincere le loro prime Coppe dei Campioni e anche se l’apporto degli stranieri per le loro vittorie sarà determinante, sono loro a formare l’ossatura della squadra affidata all’emergente tecnico Edmondo Fabbri, messosi in luce a Mantova, con tre promozioni in quattro anni.
L’inizio è confortante, anche se la morbida Turchia non è certo avversario irresistibile. L’Italia gliene rifila sei a Bologna, con un poker di Alberto Orlando, centravanti esordiente della Roma che in azzurro brillerà quell’unica volta. Il sorteggio degli ottavi di finale non è però favorevole. A sbarrare il passo si presentano infatti i campioni in carica dell’Unione Sovietica. Nell’andata a Mosca Rivera e Mazzola non brillano, Pascutti cade nel tranello del gioco rude dei sovietici, facendosi espellere per fallo di reazione, e si torna a casa con due gol al passivo difficili da rimontare. All’Olimpico di Roma i sovietici si confermano superiori, soprattutto atleticamente. Colpiscono in contropiede dopo mezzora e solo Rivera riesce a evitare una nuova sconfitta, dopo che Mazzola aveva sbagliato un rigore. Le colpe per l’eliminazione saranno divise tra Pascutti e Fabbri, al quale viene imputata la scelta di non convocare gli oriundi. Una scelta autarchica fatta con l’obiettivo di creare una squadra giovane e competitiva per i mondiali di due anni dopo, ma che come ben sappiamo non sarà coronata da successo.
L’Italia non è comunque la sola a leccarsi le ferite, anzi, c’è pure chi sta peggio. L’Inghilterra, che si è finalmente degnata di confrontarsi con le formazioni del continente, strappa un misero pareggio interno con la Francia, per poi venire travolta a Parigi dai transalpini, che dopo la delusione dell’edizione casalinga provano a sfruttare gli ultimi acuti della loro miglior generazione, almeno fino al momento. Si ferma al primo turno anche il Portogallo di Eusebio e Coluna. Risultato clamoroso, visto il dominio del Benfica a livello di club e il fatto che a stopparne la corsa sia una squadra modesta come la Bulgaria, vittoriosa nello spareggio di Roma con la rete di uno dei bomber più prolifici del decennio, Georgi Asparuhov. Sorprende anche l’eliminazione della Cecoslovacchia per mano della Germania Est, che sta cominciando ad affermarsi non solo a livello giovanile.
Il cammino della DDR si ferma però agli ottavi contro la forte Ungheria che, seppur non al livello di quella del decennio prima, appare la migliore delle formazioni del blocco orientale. Salutano infatti i vicecampioni in carica della Jugoslavia, eliminati da una Svezia non trascendentale, e saluta clamorosamente l’Olanda, che seppur non ancora assurta al ruolo di potenza calcistica, non può che destare sorpresa per aver ceduto il passo al piccolo Lussemburgo. L’ultima sorpresa del turno la regala l’Irlanda, eliminando l’Austria che ormai sembra destinata a un declino irreversibile.
Nei quarti di finale la Danimarca pesca il jolly Lussemburgo e si qualifica alla fase finale, ma non senza difficoltà, perché la squadra del Granducato la trascina fino alla gara di spareggio. Tutto facile invece per l’Unione Sovietica, contro la Svezia, e per la Spagna, contro l’Irlanda. La sfida più interessante si gioca tra Ungheria e Francia, ma i magiari si dimostrano troppo forti per i Bleus, che cedono già in casa, per poi venire sconfitti anche a Budapest un mese dopo.
Per ospitare le partite decisive viene scelta la Spagna, che mette a disposizione due stadi mitici come il Santiago Bernabeu e il Camp Nou. Modo migliore per far dimenticare il forfait di quattro anni prima non può esserci, o forse sì, perché tutti si aspettano la sfida sul campo tra i padroni di casa e i sovietici, per stabilire una volta per tutte le gerarchie. Jascin e compagni fanno il loro dovere con un comodo tris alla Danimarca, mentre la Spagna fatica molto di più contro l’ostica Ungheria, in un Bernabeu pieno solo per metà. Le Furie Rosse arrivano al torneo tra mille polemiche, causa la scelta del tecnico Villalonga di lasciare a casa i fuoriclasse del Real Madrid, dai naturalizzati Di Stefano e Puskas a Gento e Del Sol, privilegiando una squadra più “operaia”, con i soli Suárez e Amancio ad accendere la luce. Pereda porta avanti i padroni di casa alla mezzora, ma a pochi minuti dal termine arriva la doccia fredda col pareggio di Ferenc Bene, centravanti da più di 300 gol in carriera nell’Újpest Dózsa, che sfrutta uno svarione del portiere Iribar, troppo frettolosamente considerato il nuovo Zamora. Supplementari dunque, nella quale ha la meglio la maggior tenuta atletica degli spagnoli, che trovano il gol partita a cinque minuti dal termine con Amancio.
Con due finaliste che preferiscono la condizione fisica alla tecnica, le premesse per una finale non memorabile ci sono tutte. La Spagna, trascinata da un pubblico che supera le settantamila unità, prende il pallino del gioco fin da subito, andando in gol dopo sei minuti con Pereda. I sovietici hanno però una reazione fulminante, pareggiando nel giro di centoventi secondi con una conclusione di Khusainov, che trova impreparato ancora una volta il portiere iberico Iribar. Il confronto tra i due estremi difensori è imbarazzante, ma la Spagna appare decisamente più in forma, anche per l’afa che appesantisce le gambe dei sovietici. Per il colpo del K.O. bisogna però attendere gli ultimi dieci minuti, quando su un cross di Pereda dalla destra Marcelino, oscuro centravanti del Real Saragozza, va in tuffo di testa mandando la palla all’angolino. È il gol decisivo, perché stavolta all’Unione Sovietica mancano le energie per una reazione vincente. La Spagna strappa dalle loro mani la Coppa, dunque, per la gioia del generale Franco, che non aspettava altro per poter affermare la superiorità del suo regime. Il titolo continentale premia una scuola che a livello di club ha pochi rivali. Resterà isolato nella bacheca delle Furie Rosse per quattro decenni però, fino all’avvento della generazione d’oro del nuovo millennio.